Consegno/tavola rotonda sulle problematiche previdenziali degli ingegneri ed architetti liberi professionisti/dipendenti.
SABATO 29 SETTEMBRE 2018
ROMA, DNB house hotel, via Cavour 85 (nei pressi della stazione Termini).
Nel 2011 l’ I.N.P.S., ente previdenziale nazionale dello Stato italiano, avvia una operazione, in concerto con l’Agenzia delle Entrate italiana, definita “Poseidone” per il recupero di svariati milioni di euro di contributi PRESUNTIVAMENTE sommersi attraverso l’iscrizione d’ufficio alla propria gestione separata, di professionisti già iscritti ad un albo dotato di cassa previdenziale, come ingegneri, architetti, dottori commercialisti, ragionieri, geometri, medici, soci amministratori di società semplici e avvocati;
l’operazione, contestuale ALLA INCORPORAZIONE dell’INPDAP e quindi all’aggravamento del buco di bilancio dell’ente summenzionato, porta all’invio di centinaia di migliaia di raccomandate con richieste di pagamento per somme relative al 2005 e 2006, la maggior parte delle quali già prescritte, causando, quindi, uno SPRECO DI DENARO PUBBLICO;
i soggetti coinvolti intraprendono azioni giudiziali in tutta Italia e l’Inps risulta soccombente nel 90% dei casi;
a febbraio 2012, il Governo pro tempore blocca l’operazione;
tra giugno e luglio 2015, quando il buco di bilancio dell’Inps arriva ad oltre 40 miliardi di euro, l’Istituto riprende l’operazione, questa volta denominandola «Poseidone 2»;
le richieste sono pari ad 2.500/3.000 euro ad avviso, ma arrivano anche fino a 30.000;
non solo tali versamenti non concorrono ad assicurare e produrre una pensione (al contrario di ciò che lo Stato italiano ha provato a fare, per raddrizzare il tiro, con l’emendamento alla finanziaria 2017 ove si prevede il cumulo gratuito, inapplicabile tra ente pubblico e privato se non in maniera eccessivamente sfavorevole), ma l’ I.N.P.S. ha applicato e continua ad applicare alle proprie richieste sanzioni pari a quasi il 100% dell’importo richiesto, sanzioni che entrano per legge nel bilancio ordinario dell’ente e non invece nel montante previdenziale dei contribuenti;
a partire da gennaio 2017, l’Inps, in violazione dell’articolo 24, comma 3 del decreto legislativo n. 46 del 1999, ha dato persino seguito alla procedura di riscossione coatta, emettendo e notificando avvisi di addebito e fermi di veicoli e conti correnti, ma non avendone assolutamente titolo;
per il 2017 l’ente si è giustificato asserendo che si fosse trattato di un “errore tecnico dovuto al malfunzionamento dei terminali”, ma nel 2018 ha reiterato il medesimo comportamento illegittimo, anche per il quale, in tutta Italia, e per tutti i soggetti coinvolti, sono pendenti azioni giudiziarie, con ulteriore SPRECO DI RISORSE DELLA COLLETTIVITÀ;
il comportamento è evidentemente illegittimo posto che l’ I.N.P.S. reinterpreta una norma di legge, ovvero l’art 18 L.111/2011 (di interpretazione autentica dell’art 2 c. 26 L.335/95, legge “Dini”), in senso difforme e contrario a quello della lettera della NORMA stessa (tentando quindi di trovare una soluzione per sé, pur essendo perfettamente consapevole della “forzatura” operata nel proprio esclusivo interesse);
Riprova ne è il fatto che la RELAZIONE accompagnatoria del Senato della Repubblica XVI legislatura, n. 2814, per la conversione in legge del D. L. 6/7/2011 n. 98 art. 18, dopo aver sancito che la necessità dell’approvazione di una norma di interpretazione autentica rileva dal conflitto derivato da enti previdenziali pubblici e privati a causa della Operazione Poseidone iniziata dall’INPS, recita che “sono soggetti alla iscrizione alla Gestione Separata Inps coloro che svolgono attività il cui esercizio NON È SUBORDINATO ALL’ISCRIZIONE AD APPOSITI ALBI O ELENCHI”;
Non tutti gli 800.000 professionisti coinvolti (fascia giovane – 30/40 anni – e di basso reddito – entro i 5000 euro, nella maggior parte dei casi) saranno in futuro in grado di corrispondere i pagamenti ILLEGITTIMI o di continuare nelle azioni giudiziarie che l’ I.N.P.S. non interrompe, e quindi molti di loro si troveranno (se già non si trovano) costretti a cessare le loro attività cancellandosi dagli albi (e AUMENTANDO LA PERCENTUALE DI DISOCCUPAZIONE), o a ipotecare le loro abitazioni, se non a rischiare addirittura di perderle; sono state già fatte negli anni (da ultimo ad ottobre 2017) diverse interrogazioni parlamentari nazionali, che non hanno sortito alcun effetto.
Nonostante una prima battuta di arresto, determinata da n. 5 sentenze negative (per i professionisti, tutte copia e incolla della sola udienza di ottobre 2017)) della Corte di Cassazione, relatore dott. Cavallaro, la giurisprudenza ha ripreso ad emettere decisioni favorevoli per i ricorrenti, e finanche la Corte di Appello di Palermo (da dove il relatore di Cassazione proviene) che sottolinea come la Cassazione non abbia colto non solo la gravità, ma anche il punto di diritto della questione.
Ed anzi, la stessa Suprema Corte, accogliendo le istanze di architetti ed ingegneri, si è detta disponibile a riesaminare la situazione, che non può giuridicamente riassumersi in “è necessaria la previdenza per tutti” e “la gestione separata ha valore universale”.
Inoltre, si pone il problema del ruolo della Casse private e dei Ministeri Vigilanti, che hanno consentito negli anni il verificarsi di questa confusione dicotomica, per la quale, l’OCF (organismo congressuale forense), autorità nazionale degli avvocati, seconda solo al CNF, ha deciso di inviare una denuncia al Governo, circa l’operato generale dell’Inps e le sue ripercussioni sulle famiglie dei “colpiti” e sulla economia generale.
Da evidenziare infine che le sentenze di Cassazione “Cavallaro” a noi avverse, non tengono per nulla conto del gravissimo contrasto tra ordinamenti previdenziali, sotto molti punti di vista; primo fra tutti quello relativo alla perdurante esistenza, o meno, dell’obbligo di versamento del contributo integrativo a Inarcassa ai sensi dell’art.10 della legge n.6 del 1981. In effetti, non può esistere, in uno stato civile e di diritto, una norma che obblighi dei cittadini a pagare con il proprio lavoro i contributi previdenziali ad altre persone, perché in tal caso il 4% integrativo non dovrebbe essere ulteriormente versato a Inarcassa ma versato ai diretti interessati. Conseguentemente questi ingegneri e architetti si vedranno restituire quanto indebitamente versato ad Inarcassa almeno per gli ultimi 10 anni.
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